I Rioni

I Rioni

Sullo slargo dell’abitato della Terra La Lama in cui trova posto una fontana risalente agli anni dell’amministrazione di Margherita d’Austria e dietro la colonna in pietra calcarea locale rialzata dal piano stradale, luogo di prediche negli scorsi secoli, apre la chiesa dedicata a Sant’Anna, madre di Maria Vergine. Vòlte le spalle all’edificio sacro ci si incammina verso la parrocchiale di Santa Croce. Sulla strada, a destra, il fantasioso portale settecentesco, edificato con reminiscenze dal Trattato del Serlio, immette in Palazzo Cherubini già sede governativa; al suo interno le porte sono contornate da conci in pietra calcarea locale sormontate da grandi conchiglie a pettine.

In vista della chiesa un arco interrompe la serie di edifici, forse elemento superstite dell’antico ingresso delle mura, parte delle quali, però dislocate, disallineate si notano ai bordi della strada, superata la chiesa della Misericordia e in direzione della parte bassa dell’abitato borbontino.

Al bordo destro dell’arco già menzionato, una targa in pietra, reca inciso il primo verso dell’ultimo scritto, lasciato incompiuto da Girolamo Savonarola e la data 1588, novant’anni dopo la morte del Domenicano. La presenza dei Domenicani a Borbona è ancora documentata in una delle tele presenti in Santa Croce. L’abitato, nei secoli XVI e XVII si poneva a ideale punto di incontro tra il convento aquilano dei seguaci del Savonarola, quello dei frati di Ascoli Piceno – anch’essi devoti alla memoria del frate ferrarese e dei frati insieme ai testimoni della spiritualità domenicana reatina, improntata all’esempio della Beata Colomba da Rieti, savonaroliana anch’essa.

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La chiesa di Santa Croce edificata una prima volta tra la fine del 1200 e l’inizio del secolo successivo, fu ricostruita dopo il terremoto del XVIII secolo; l’edificio insieme alla vicina chiesa di San Pietro – questa adibita oggi a dimora privata – conservano le stesse disposizioni delle prime chiese di uguale intitolazione, ma rovesciate rispetto ai punti cardinali, che già aprivano e dominavano il piano di Santa Croce, nel rione Forti: primo nucleo abitativo borbontino post-romano. L’oratorio di San Pietro fu edificato sopra la modesta prima altura all’interno del fortilizio bizantino, costruito dopo la fine della guerra greco-gotica e a fine secolo VI; all’ombra della seconda collina era sorta l’abbazia di Santa Croce a opera dei Benedettini, transfughi dalla distruzione di Montecassino operata dai Longobardi, nella seconda meta dello stesso VI secolo, il 500, la sua costruzione terminò al finire del secolo successivo con l’erezione della torre campanaria; la terza altura leggermente spianata, era sorvegliata per regolare il passaggio montano, ancora oggi rintracciabile, che portava a Amiternum, poi Cagnano-Amiterno. Le tre cime, con la centrale dominata dalla Croce, divennero poi il simbolo stesso della Comunità di Borbona.

Di fronte al portone della parrocchiale apre la chiesa della cinquecentesca chiesa della Misericordia.

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Lasciata la piazza della chiesa e avviati verso la parte bassa del paese, costeggiando la chiesetta della Misericordia, la strada pedonale, attraversa la Reota (la Svolta), Piè le Coste e giunge al piano. Qui, il vecchio edificio comunale, quasi affrontato al nuovo, ospita la Biblioteca di Borbona, nei cui locali un tempo apriva la chiesa della famiglia Gregori. Sulla stessa via intitolata a Nicola da Borbona, letterato quattrocentesco del luogo, è posta una targa a ricordo dell’eccidio del 4 aprile del 1944. L’ombreggiato Rettifilo ci conduce sulla piazza del paese con il bel busto bronzeo del Dossena, dedicato al sindaco Domenico Lopez: l’impostazione generale del modellato ricorda i tanti ritratti del primo re d’Italia Vittorio Emanuele II.

La particolare piazza cittadina, Piazza Martiri 4 Aprile, rialzata dal piano stradale, permette il godimento di quello spazio alberato senza l’assillo di auto in transito; quando sarà terminato l’ultimo tratto di gallerie della via Salaria, la via che passa per Borbona potrà rappresentare un’alternativa all’altra che da Antrodoco si inerpica in direzione de L’Aquila. Sulla piazza di Borbona va menzionato il bel monumento recintato dedicato ai caduti di guerra costituito da un obelisco, sormontato dall’aquila bronzea e ricavato da un unico blocco di pietra calcarea locale. A metà della piazza, l’edificio della chiesa dell’Assunta, già dedicata nel XVI secolo a Santa Maria Nuova.

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Proseguendo sulla strada e superato il caratteristico rione Venditto (Chennittu), si giunge in località San Giovanni, dal nome della chiesetta distrutta dal sisma, e più avanti sulla strada per Montereale, decentrata dunque rispetto al paese apre San Michele Arcangelo, probabile punto sulla via micheliana che dalla Sagra piemontese, portava al San Michele sul Gargano; dalla chiesa fu asportato, nel secolo passato, il bel quadro d’altare con l’effige del santo. Passando il ponte di San Giovanni si raggiunge la chiesa di San Giuseppe alle Paghette. Sulle abitazioni del vicino rione Forti appaiono alcune pietre intagliate del XII secolo provenienti dalle dirute prime edificazioni di Santa Croce e di San Pietro: altre pietre lavorate di epoca romana e medievale furono inserite nei portali di alcune case nei rioni Fonte Viva, Chetocchio e La Villa; in quest’ultimo agglomerato si notano ancora modesti vecchi edifici a uso già di piccolo commercio. Uscendo dalla chiesa di San Giuseppe alle Paghette, il bel portale a timpano interrotto contiene la targa con rilievo in pietra, risalente con probabilità alla consacrazione del ricordato Oratorio di San Pietro ai Forti; nel modesto rilievo si nota infatti Gesù vestito in abiti imperiali, romano-orientali, che regge nella mano una piccola riproduzione architettonica dell’Oratorio. Lasciate le Paghette ci si avvia verso il santuario di Santa Maria del Monte che guarda dall’alto la conca borbontina.

Ultimo aggiornamento

18 Maggio 2021, 18:52